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L’ultima telefonata di Delara, la ragazza iraniana impiccata dal regime

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Mamma mi stanno impiccando, mi portano alla forca, fate qualcosa, aiutatemi”. Alle sei di mattina di venerdì, la madre e il padre di Delara ascoltano increduli la telefonata che li ha ridestati e trascinati nell’incubo.
Il 17 aprile l’ayatollah Mahmoud Hashemi Shahrudi, il capo del potere giudiziario di Teheran, ha regalato due mesi di speranza, due mesi per rivedere la condanna all’impiccagione. Ma non c’è stato nulla da fare, e nessuno ha voluto ascoltare il grido di protesta delle associazioni umanitarie iraniane e di Amnesty International.

La tragedia di Delara inizia cinque anni fa, quando lei e il fidanzato vengono ritrovati nell’abitazione di una ricca cugina paterna appena assassinata. In un angolo c’è il cadavere della padrona scannata a coltellate, in un altro ci sono quei due ragazzini frastornati con le mani sporche di sangue. Il primo a non farsi domande e a consegnare Delara alla polizia è suo padre.

Lei non fa nulla per discolparsi: ammette ogni colpa, confessa l’accoltellamento, scagiona il fidanzato, garantendogli così una condanna a soli dieci anni di carcere. Poi però ritira la confessione, ritratta tutto. Dalla cella dove passa il tempo dipingendo racconta di essersi auto accusata nella convinzione di non poter venir condannata perché troppo giovane.

Quella di Delara è la 140esima condannata a morte in Iran dall\'inizio dell\'anno. Quando morì uccisa la cugina del padre, Delara aveva appena 17 anni.

Maryam Rajavi, presidente eletta dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, ha detto che l\'esecuzione della pittrice iraniana, \"è un segno della barbarie e della misoginia medioevale del regime al potere in Iran\". Rajavi ha invitato la comunità internazionale a condannare questo \"crimine odioso ed inqualificabile\".


di Giulia Angeletti
redazione@viveresenigallia.it





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