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Una ricercatrice di Amnesty parla della Pena di Morte in Bielorussia

Heather McGill, ricercatrice di Amnesty International presso il Segretariato internazionale di Londra ha parlato dei risultati della sua ricerca nell'est Europa. Il risultato una tragica negazione dei diritti umani in Bielorussia, Ucraina e Moldavia e l'esistenza della pena di morte in Bielorussia.
L'obiettivo di Amnesty International è sensibilizzare l'opinione pubblica sulle violazioni dei diritti umani nei paesi dell'est Europa ed in modo particolare sulla Bielorussia che è ancora l'unico Paese in Europa ad avere la pena di morte. Sembrerebbe, stando alla ricerca di Amnesty, che nella stessa Bielorussia la popolazione locale non sia a conoscenza dell'esistenza della pena di morte nel loro paese.
"Le persone sono molte povere - ha detto Heather McGill - e poco informate. Si pensi che solo il 30% delle persone che vivono nelle città in Bielorussia si collega ad Internet, mentre nei villaggi spesso non c'è né Tv, né Internet e l'unica forma di informazione sono i cartacei. Senza considerare che il 70% della stampa è controllata dal governo. La libertà di espressione in questo contesto non può che essere molto limitata."
"La Bielorussia - ha affermato Heather McGill - è un paese molto difficile: è difficile ottenere incontri con le autorità e la popolazione locale rifiuta spesso di avere contatti con Amnesty per paura di ritorsioni da parte del governo e della polizia, quest'ultima nella maggioranza dei casi rimane impunita anche nell'evidenza di prove schiaccianti."
"A questo va aggiunto - ha continuato la McGill - che in Bielorussia le autorità continuano a reprimere con la forza le manifestazioni non filogovernative come quella di dicembre a Minsk dopo la 4 elezione del presidente Lukashenko. Su 30mila persone che manifestavano, 600 persone sono state detenute arbitrariamente e tra loro 40 sono stati accusati di aver organizzato disordini di massa. La pena per questi ultimi è stata di 3 anni ai lavori forzati. E 15 persone poi sono state arrestati come prigionieri di coscienza ovvero coloro che sono stati arrestati semplicemente per aver osato esprimere la propria opinione."
"Per la sola possibilità di manifestare - ha continuato la McGill- non si può essere liberi cittadini, ma essere membri di organizzazioni per i diritti umani registrate (non è facile ottenere la registrazione). Addirittura viene proibito a queste vittime di parlare la lingua madre e sono costretti a parlare in russo. Lingua nella quale un bielorusso non potrà mai esprimersi appieno e all'occorrenza difendersi in tribunale per rispondere di eventuali accuse."
Una manifestazione, come altri eventi simili nell'est Europa, repressa con la forza sproporzionata da parte della polizia verso chiunque si trovasse lì in quel momento. Un quadro generale di negazione di quelli che sono i diritti umani, ma soprattutto un forte ostacolo a chi si batte affinché, anche in questi paesi, i diritti umani vengano garantiti.
"Partecipare - ha concluso la MGill - agli incontri delle associazioni per i diritti umani, come Amnesty, sostenerle ed informare le persone delle negazioni dei diritti umani che estistono non tanto lontano dalla nostra realtà è l'unico modo che abbiamo dal basso per combattere questi crimini contro l'umanità."

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