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50 anni fa si apriva a Roma il Concilio ecumenico Vaticano II

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1858

Il Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo e ultimo concilio ecumenico, ovvero una riunione di tutti i vescovi del mondo per discutere di argomenti riguardanti la vita della Chiesa cattolica.

Tre furono le nuove sessioni conciliari guidate dal successore di Giovanni XXIII, il cardinale Giovanni Battista Montini, divenuto papa il 21 giugno 1963 con il nome di Paolo VI, che provvide, fra l'altro, a nominare quattro moderatori, i cardinali Döpfner di Monaco, Lercaro di Bologna, Suenens di Malines-Bruxelles e il patriarca Agagianian di Propaganda Fide. Papa Montini avrebbe concluso il concilio con il discorso del 7 dicembre 1965, sottolineandone il valore religioso e pastorale e la forte dimensione umanistica, per chi temesse relativismi, che «se nel volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste il nostro umanesimo si fa cristiane­simo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico». Sarebbe stato così possibile dire a un tempo che «per conoscere l'uomo bisogna conoscere Dio» e che «per conoscere Dio bisogna conoscere l'uomo» . Il concilio rappresentò secondo quasi tutti gli studiosi una svolta storica, che segnò la fine dell'epoca post-tridentina e introdusse prima nella dottrina e poi nella prassi — non senza lentezze, contraddizioni, «fughe in avanti» e regressioni — importanti innovazioni nei modi di porsi dei cristiani di fronte alla Parola di Dio, alla stessa Chiesa e alla vita di fede e di fronte all'uomo e al mondo. La rivelazione non è più intesa come trasmissione di verità astratte, ma come manifestazione di Dio in modo vivo e personale, attraverso la storia del popolo d'Israele e della Chiesa di ieri e di oggi, che deve essere attenta ai «segni dei tempi», grazie soprattutto alla costituzione dogmatica Dei Verbum, definita dal cardinale Alexandre Renard «senza dubbio il capolavoro del Concilio per la sua profondità e concisione». La Chiesa è intesa nella costituzione dogmatica Lumen Gentium anzitutto come mistero e come popolo di Dio, nel quale «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e al­l'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il Corpo di Cristo» e come «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano», piuttosto che come società perfetta, gerarchicamente costituita. La vita di fede e di preghiera è vista in modo meno individualistico, più aperta alla Parola di Dio e alla vita degli uomini, meno velata da misteri supplementari, che invece di rafforzare i grandi misteri della fede, rischiano di far perdere loro vigore e significato. In particolare attraverso la Sacrosanctum Concilium tutte le lingue sono state ammesse — per dirla con Paolo VI, ad «esprimere liturgicamente la parola degli uomini a Dio e di Dio agli uomini». La libertà è considerata presupposto fondamentale della dignità personale, per cui il diritto all'immunità da qualsiasi coercizione «perdura anche in coloro che non soddisfano all'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa». Si rivendica inoltre per tutte le comunità religiose il diritto alla libertà con un atteggiamento di Chiesa preoccupata più di difendere l'uomo che sé stessa (dichiarazione Dignitatis humanae, numeri 1 e 3). La chiesa si dichiara al concilio solidale con il mondo, con le sue sofferenze e conquiste, pronta a riconoscere l'autonomia delle realtà terrene, della cultura e della libera ricerca scientifica, in stretta collaborazione fra scienze sacre e profane, e pronta a sollecitare «in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo», promuovendo al tempo stesso «uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli».