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Siria: il parlamento britannico dice no all'attacco

Il voto contrario (285 voti contro 272), arrivato giovedì in tarda serata, rappresenta una clamorosa sconfitta per il premier David Cameron, sia come capo del governo e del partito conservatore, sia come statista internazionale. Nel suo appello al parlamento, il premier non è riuscito infatti a convincere l'opposizione laburista ma neanche una parte consistente dei suoi deputati. Cameron ha subito ammesso la sconfitta: "E' chiaro che il Parlamento non vuole un intervento e quindi agirò di conseguenza".
Il Governo si era presentato in Parlamento con un documento secondo cui un attacco militare sarebbe "giustificabile da un punto di vista legale" anche senza il sostegno dell'Onu, in quanto costituirebbe un "intervento umanitario" per prevenire l'uso futuro di armi chimiche da parte del regime siriano. Il premier ha però ammesso che è impossibile avere prove certe al 100% che gli attacchi chimici siano stati ordinati da Assad. Sembra quindi aver prevalso la posizione assunta dal leader laburista Milliband, secondo cui "le prove devono precedere la decisione, e non la decisione precedere le prove."
Il no inglese al blitz rappresenta inoltre una novità nella politica estera della Gran Bretagna, da sempre alleata fedele degli Stati Uniti. "Penso che gli americani e Obama capiranno", ha spiegato il premier Cameron. "Non credo che sia una questione per cui chiedere scusa".
Il presidente statunitense, secondo quanto riferisce il New York Times, è pronto a lanciare un attacco contro la Siria anche senza Londra. E può contare sull'appoggio della Francia, determinata ad intervenire. Il presidente francese Hollande ha però precisato che non prenderà una decisione in merito "prima di avere in mano tutti gli elementi che la giustificherebbero".
Secondo il nostro ministro degli Esteri, Emma Bonino, "si rischia una deflagrazione mondiale". "La Siria reagirà e dobbiamo temere come possano reagire Hezbollah, Russia e Iran", ha detto. All'eventuale attacco non parteciperà la Germania: lo ha detto il ministro degli esteri tedesco Westerwelle, precisando che "nè ci è stato chiesto, nè lo consideriamo".

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