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Ancona: introduzione del reato di tortura. Ilaria Cucchi: "Mio fratello era il volto della tortura"

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ilaria cucchi
Continua a denunciare Ilaria Cucchi, sorella del giovane, in custodia cautelare, scomparso nel 2009 a Roma. Questa volta è ad Ancona, su invito di A20. Cucchi: "Mio fratello era il volto della tortura". Il caso di Stefano Cucchi torna in vista della battaglia per l’introduzione, nel nostro ordinamento, del reato di tortura

Ogni cittadino, anche se sotto custodia, gode dei propri diritti civili e deve ricevere le tutele del caso. La celebre vicenda di Stefano Cucchi, morto il 22 ottobre 2009, sette giorni dopo esser stato arrestato per possesso e vendita di sostanze stupefacenti è entrato a far parte dei tanti casi irrisolti della giustizia italiana. L’incontro “Storia di tortura e giustizia, in attesa.." organizzato dall’associazione A2O – Altra Ancora Ora al quale hanno presenziato Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, l'Avv. Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi e l'Avv. Marco Vitali di Amnesty International Italia è stato l’occasione per riflettere sulle ambiguità, le lacune che hanno contraddistinto il caso di Stefano Cucchi, per i quale 5 medici dell’area detenuti dell’ospedale Sandro Pertini di Roma sono stati assolti nell’appello-bis della Corte d’appello dopo che in primo grado 6 medici erano stati condannati con pene differenti. Furono assolti anche gli agenti penitenziari accusati di maltrattamenti e abuso di potere nei confronti del detenuto. Il caso di Stefano, così come quello di tanti altri cittadini, è stato lo spunto per riflettere in questi anni dell’introduzione nell’ordinamento giuridico italiano del reato di tortura. Ai più potrà sembrare ormai un automatismo ma pur a distanza di otto anni non è scontato per Ilaria Cucchi ripercorrere non senza amarezza il calvario vissuto dal fratello; anche nell’aula dell’ex sala consiliare del Comune di Ancona Ilaria lascia spazio alla vulnerabilità e all’inevitabile commozione quando si parla di Stefano e della sua storia, una vicenda che riguarda tante famiglie che spesso non hanno la forza di perseguire la via della verità perché isolate da un sistema iniquo.

“La storia di Stefano mi ha insegnato che determinati temi devono riguardare ognuno nel proprio piccolo. L’indifferenza può uccidere. Mi colpì da subito una sensazione di solitudine, una solitudine che colpisce tante famiglie come la mia”. Persino la locandina dell’incontro con i caratteri della parola tortura in rilievo rispetto a giustizia testimoniano quanto sia difficile poter discutere di giustizia e di parità di giudizio per vicende analoghe. “La tortura era nell’espressione, nel volto di mio fratello – ricorda Ilaria – quel volto trasmetteva l’isolamento, l’indifferenza che ha portato Stefano a morire. Mio fratello è morto di dolore. Avevo un’ enorme fiducia nel sistema. Le lacrime per molto erano congelate, dovevo capire cosa era davvero successo. Le famiglie sono abbandonate da uno Stato che le ha tradite, sono costrette a sostituirsi allo Stato”.

La Cucchi ha sottolineato l’importanza del lavoro incessante portato avanti dal legale della famiglia: “Non è scontato che esistano persone come Fabio Anselmo, persone che si si dedichino a casi come quello di Stefano. È complicatissimo chiedere allo Stato di giudicare se stesso, è come ammettere un fallimento, allora si cerca di sminuire o screditare le vittime. La nostra giustizia molte volte si comporta così. La sentenza di assoluzione non è stata la fine ma l’inizio ed oggi anche in quelle aule sta entrando una giustizia, quella giustizia che è incapace di guardare in faccia le persone” – il riferimento va alla registrazione di Stefano al momento dell’arresto quando venne verbalizzato come cittadino non italiano e senza fissa dimora -.

L’avvocato Anselmo ha ribadito il concetto di una giustizia a corrente alternata e cinica con gli ultimi “la giustizia italiana è privatizzata, a doppio binario. In casi come quello di Cucchi sembra che i morti si debbano giustificare. Io faccio i processi mediatici quando si parla di diritti umani altrimenti non vi sarebbe nessuna attenzione. Se c’è stata un’inchiesta lo si deve al fatto che la storia di Stefano è diventata un fenomeno mediatico”.

Alla base per Anselmo vi è un deficit culturale, educativo: “un paese democratico – come si professa l’Italia – non può non avere una legge sulla tortura, dobbiamo discuterne, educare affinchè questa società malata che abbiamo prodotto non sia una costante per le future generazioni”.

Marco Vitali, avvocato di Amnesty International, ha citato il codice penale militare di guerra e la Magna Carta inglese, in entrambi e in pochissime righe il concetto di tortura e maltrattamento è molto chiaro. “Da noi invece nel dibattito sul reato di tortura si cerca di introdurre compromessi, di rendere accettabile quell’azione, in questo modo la questione sul reato di tortura diventa una battaglia prettamente politica”.

L’Italia, tra i firmatari nel 1984 della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti delle Nazioni Unite più volte è stata sollecitata dagli organismi europei ed internazionali ad introdurre il reato di tortura (tra gli ultimi moniti quello arrivato dal comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, che ha ritenuto insufficienti le misure sinora prese dall'Italia per dare esecuzione alla sentenza di condanna della Corte europea dei diritti umani sul caso Cestaro relativo al G8 di Genova). Il disegno di legge sul reato di tortura al momento è fermo al Senato.


di Alessandro Faralla
    redazione@vivereancona.it


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