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Intervista - On. De Castro: "Conflitto in Ucraina rischia di azzerare nostro export verso la Russia. E ci difenderemo dall'Italian Sounding"

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Il Professor Paolo De Castro è stato Ministro dell’Agricoltura nei due governi D’Alema e nel governo Prodi. Attualmente è un parlamentare europeo, Primo Vice-Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale. E' docente universitario di ruolo ordinario di economia agroalimentare, presso l'Università degli Studi di Bologna. L'abbiamo intervistato in merito alla vicenda del Prosek Croato e alle conseguenze della guerra in Ucraina.

I produttori agricoli, specialmente delle eccellenze italiane, sono fortemente critici verso il Nutriscore, molti addetti ai lavori dicono apertamente, che dietro ci sono le lobby delle multinazionali alimentari che vogliono imporre i loro prodotti. Lei come giudica queste affermazioni e soprattutto come intende porsi l’Italia di fronte a questo modo scorretto di giudicare i ns. prodotti, che per l’Italia é molto penalizzante.

“Il meccanismo di etichettatura nutrizionale a semaforo non è nuovo: il primo Paese ad adottarlo fu la Gran Bretagna nel 2013 quando ancora era uno Stato membro dell’Unione europea. Si trattava di un sistema semplificato di classificazione degli alimenti con i tre colori del semaforo, verde, giallo e rosso, che prendeva come riferimento la quantità di calorie, zucchero, sale, grassi e grassi saturi in 100 grammi di prodotto.

Poi nel 2017 la Francia ha adottato il Nutriscore che indica la qualità nutrizionale globale degli alimenti attraverso l’impiego di cinque colori, dal verde al rosso, a cui corrispondono cinque lettere dell’alfabeto, dalla ‘A’ alla ‘E’. Il colore viene attribuito all’alimento nel suo complesso, considerando la presenza di ingredienti e nutrienti da limitare, come gli zuccheri semplici e il sale, ma anche quelli benefici per la salute, come fibre, frutta e verdure.

Successivamente, i Paesi scandinavi hanno introdotto il sistema Keyhole, prevedendo l’indicazione dei prodotti migliori dal punto di vista nutrizionale per ogni categoria di alimenti. E qui, graficamente, parliamo di una serratura colorata che indica il migliore prodotto delle diverse categorie facendo riferimento al contenuto di fibre, sale, zuccheri, grassi e grassi saturi.

Noi italiani un paio di anni fa abbiamo messo a punto e adottato, su base volontaria, il Nutrinform Battery; un sistema a batteria che costituisce una valida alternativa a quelli ‘a semaforo’ e che ha l’obiettivo di fornire ai consumatori informazioni nutrizionali chiare, semplici, ma allo stesso tempo complete per l’equilibrata composizione di una dieta giornaliera. La Commissione Ue dovrebbe presentare una proposta armonizzata tra questi sistemi, che noi al Parlamento valuteremo e voteremo nell’interesse finale di tutti, dagli agricoltori ai consumatori, senza condizionare emotivamente quest’ultimi al momento dell’acquisto”.

Altra spina nel fianco la querelle tra Italia Croazia e l’Ue sul riconoscimento dell’indicazione Prosek, un vero e proprio insulto al Prosecco italiano. Qual è in questo momento la posizione dell’Unione e quante possibilità reali ha l’Italia di bloccare questo autentico furto di un brand.

“Noi, come Italia, ma in realtà nell’interesse di tutto il sistema delle Indicazioni geografiche europee, non possiamo permettere che la Commissione europea consenta di utilizzare la denominazione protetta 'Prosecco' per promuovere un altro vino. E’ da tempo che chiediamo alla Commissione di bloccare il riconoscimento della menzione tradizionale croata 'ProsÄ›k”, perché si tratta del chiaro intento di utilizzare una denominazione che mette sul mercato 600 milioni di bottiglie l’anno per vendere un prodotto totalmente diverso.

Da parte nostra non abbiamo nulla in contrario che la Croazia registri un proprio prodotto, ma non deve essere una mera traduzione di un prodotto già sul mercato. Si tratta di rigettare quanto prima questa richiesta, che tra l’altro rischia di minare la credibilità delle denominazioni sui mercati europei e mondiali, anche per difenderci dall’Italian sounding, ossia le imitazioni dei prodotti italiani nel mondo che già arrecano danni al nostro sistema di eccellenze per decine e decine di miliardi di euro”.

All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno è arrivata la guerra alle porte dell’Europa. Proprio nel momento in cui tutti pensavamo di uscire finalmente dalla pandemia, e di ricominciare una vita quasi normale. Intanto le chiedo quale è il suo pensiero su questa guerra e quali sono le ragioni, secondo lei, per cui la Russia ha attaccato l’Ucraina.

“I motivi di questa aggressione militare hanno radici ormai lontane: risale al 2014 l’occupazione da parte della Russia della penisola di Crimea, che è in territorio ucraino, reclamandone la sovranità. E quella scoppiata nei giorni scorsi è una guerra che dal nostro punto di vista non ha ragioni, se non quella di provocare morti e feriti tra la popolazione civile, danni economici e sociali ancora tutti da quantificare che avranno ripercussioni e strascichi per tanti Paesi, tra cui l’Italia”.

Quali ripercussioni avrà, a livello economico e per gli scambi commerciali, il conflitto nell’economia dell’Ue, dopo le sanzioni imposte alla Russia?

“I fondamentali economici dell’Unione sono solidi. Ma la guerra in Ucraina determinerà inevitabilmente un aumento dell'inflazione, con tensioni sui prezzi dell'energia, delle materie prime agricole, dal grano al mais, sugli input produttivi come i fertilizzanti e sui prodotti alimentari; balzi dei prezzi che si sono manifestati con incrementi a due e tre cifre già all’indomani dello scoppio del conflitto. Va da sé che tutto questo provoca e provocherà una certa volatilità dei mercati”.

E quali saranno le conseguenze per l’export italiano e soprattutto quali settori dell’agricoltura, e non solo, colpirà di più questo embargo verso la Russia?

“Le esportazioni italiane verso la Federazione Russa sono già ampiamente penalizzate. Il nostro Paese, come tutta l’Unione europea, è sotto embargo da quasi otto anni per una lunga lista di prodotti, tra cui quelli alimentari. E questo, secondo il governo di Mosca, per avere esercitato ingerenze sull’annessione della Crimea. Una risposta arbitraria alle sanzioni decise dall'Unione europea, dagli Usa e altri Paesi per l'annessione della penisola. Ma se finora prodotti per noi strategici, come olio, pasta e vino erano scampati all’embargo, con questa guerra subiremo ulteriori danni per centinaia di milioni a causa delle possibili mancate vendite in Russia. Gli effetti di questo conflitto russo-ucraino, insomma, rischiano di azzerare il made in Italy agroalimentare dai mercati e dagli esercizi commerciali di Mosca e dintorni, aggravando ancora di più l’esito dell'embargo deciso da Putin nel 2014. Una partita che all’Italia, non dimentichiamolo, è già costata qualcosa come 1,5 miliardi”.

C’è un modo possibile o una strategia per recuperare le quote di mercato che inevitabilmente perderemo non esportando più verso la Russia? (oltre già quelle perse prima).

“Il Governo italiano e le istituzioni europee sono consapevoli dell’impatto che la crisi in Ucraina avrà sulla nostra economia e farà di tutto per mitigarne le conseguenze. Ieri il premier Draghi, rispondendo a un question time alla Camera, ha detto che ‘il contesto regolatorio va rivisto per il periodo di emergenza, ma va rivisto. Patto di stabilità, aiuti di Stato, regolamenti comunitari in ambito agricolo, tutto ciò che impedisce una risposta veloce va rivisto’". Per quanto ci riguarda, al Parlamento europeo, sempre ieri come commissione Agricoltura abbiamo inviato una lettera al commissario Ue Wojciekowski proponendo di ‘coltivare le superfici delle aziende agricole che la Pac vincola a aree di interesse ecologico’.

Come indicato anche dai ministri dell'Agricoltura la scorsa settimana, l'obiettivo è tutelare il potenziale produttivo Ue per far fronte alle conseguenze dell'invasione dell'Ucraina sul fronte alimentare. Facendo proprie le nostre proposte, la Comagri ha chiesto una sospensione temporanea di un anno dell'obbligo previsto dall'attuale Pac di non coltivare almeno il 5% delle superfici arabili delle nostre aziende. Mettere a coltura queste superfici significherebbe sfruttare oltre 8 milioni di ettari a livello europeo, di cui circa 200mila solo in Italia. Inoltre abbiamo chiesto l'attivazione delle misure contro le crisi di mercato previste dalla Politica agricola comune, da finanziare tramite la riserva di crisi da 500 milioni. Sul fronte commerciale servono misure finalizzate a evitare qualsiasi perturbazione o barriera alla libera circolazione delle merci sul mercato interno.

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da Danilo Bazzucchi
danilo@vivere.news






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